UN CRISTIANESIMO SFIORITO PER GIOVANI SFIORATI

la tentazione di certo giovanilismo esasperato e talvolta ridicolo e patetico

di Adamo Calò

Un discorso di fede
per giovani sfiorati?

Gli sfiorati in un romanzo di Sandro Veronesi  sono i giovanissimi eroi di una generazione che cerca di vivere ogni cosa, che ha avuto ogni cosa senza possederla veramente, che ha visto tutto senza capire nulla: lo sperpero, il ballo e lo sballo, il caos, le rincorse metropolitane, il televisore perennemente acceso in stanze piene di fumo.  Sono gli sbandati fratelli minori degli anni duemila, giovani dal carattere fuggevole e liquido, che vivono una loro ambigua e volubile innocenza; esseri notturni alla ricerca di un amore o di un’amicizia, che brancolano da un tavolo all’altro senza passione, con un senso di solitudine e di malinconia tipicamente post-adolescenziale, una quasi gaia frivolezza, ammantata di indecisioni e di perdita di senso. Sarà possibile instaurare un discorso religioso serio con loro senza scendere a compromessi?

Se la montagna
non va da Maometto

Per cercare di arrestare l’emorragia di fedeli che affligge la Chiesa d’Inghilterra, l’Arcivescovo di Canterbury, ha deciso di riconquistare gli adolescenti giocando sul loro terreno, cioè portando la religione in luoghi in cui i giovani possano più facilmente sentirsi a proprio agio. Così, disseminate in tutto il Paese, sono nate varie iniziative: le skating-church, che celebrano la messa dentro uno skate park, in cui i ragazzi alternano la recita delle preghiere con acrobazie su tavoletta e biciclette; la night-church, dove la congrega dei fedeli si ritrova nel mezzo della notte; la coffee-church, prevista al bar, all’ora di colazione tra comunioni, cappuccini e succhi d’arancia; la messy-church, dove i bambini, anziché essere costretti a star in silenzio per ascoltare sermoni incomprensibili, possono giocare liberamente tra croci, altari e materassi gonfiabili. (da La Repubblica delle Donne, inserto di Repubblica, 27 maggio 2006).

Cattolicesimo alla chitarra

Sulla spiaggia di Ipanema, un bairro della Zona Sud della città  di Rio de Janeiro, ci sono almeno 20 mila ragazzi di fronte a un palco. C’è la messa di Padre Zeca, prete surfista della Chiesa cattolica e cantante sotto contratto. La star della Chiesa cattolica brasiliana ha la gestualità da ragazzaccio di Brooklyn, ma è un sacerdote vero, e questa è una messa vera, affollata da credenti e con un palco d’onore stipato di vescovi e cardinali che battono le mani al ritmo di Deus E’ Dez. (da Il Venerdì di Repubblica, 7 aprile 2000)

Nel levante genovese, su’iniziativa di don Roberto, genovese 33enne, vice parroco in Arenzano ed ex deejay sulle navi da crociera, è stata inaugurata la prima ”Discoteca Cristiana”. L’obiettivo è far ballare d’estate i turisti e parrocchiani in allegria, pregando e divertendosi. La discoteca resterà aperta per tutta l’estate ogni mercoledì. (da Notiziario italiano, 14 giugno 2010)

Di fronte a queste iniziative, subentra in taluni credenti un istintivo moto di cautela, se non di estraneità. Una diffidenza verso questo tipo di giovanilismo, di adunate oceaniche o gruppi di ragazzi seduti attorno al fuoco a cantare quanto è bello volersi bene. Un cattolicesimo alla chitarra, secondo una definizione di Vittorio Messori.

Non soltanto momenti

di festosa estasi

“Analisi in voga tendono a considerare queste giornate come una variante della moderna cultura giovanile, come una specie di festival rock modificato in senso ecclesiale con il Papa quale star. Ci sono anche voci cattoliche che vanno in questa direzione valutando tutto ciò come un grande spettacolo, anche bello, ma di poco significato per la questione sulla fede e sulla presenza del Vangelo nel nostro tempo. Sarebbero momenti di una festosa estasi, che però in fin dei conti lascerebbero poi tutto come prima, senza influire in modo più profondo sulla vita”. (Benedetto XVI, Udienza Curia romana, Natale 2008)
“… i giovani  con le loro domande, con la loro speranza, con la loro gioia nella fede, con il loro entusiasmo nel rinnovare la Chiesa, ci hanno donato qualcosa. Per questa reciprocità ringraziamo e speriamo che essa perduri, e essi continuino a essere per noi una provocazione a vincere pusillanimità e stanchezza.” (Benedetto XVI, Incontro con i Vescovi di Germania, 21 agosto 2005).

Non un cristianesimo innocuo, ridotto a insipido moralismo, formule ad effetto, ma una prospettiva ideale, un sistema di valori in contrasto radicale spesso con la cultura giovanilista attuale.

Sapremo noi adulti superare la tentazione di certo giovanilismo esasperato, talvolta ridicolo e patetico, e testimoniare che il vangelo non fa sconti e che apparire giovani non è sempre garanzia di verità e autenticità?

Espedienti poco seri

per rassegnarsi ai tempi

La miracolosa rotondità di un sedere nature con una croce tatuata in bella vista campeggia in primo piano nelle strade di Würzburg, nella cattolicissima Baviera. Non è la pubblicità di una griffe per giovani trasgressivi, e neanche l’ennesima provocazione rock-satanic-dark-celtic eccetera. Si tratta di roba di chiesa. È l’inizio di una campagna pubblicitaria per la fede che, al grido di «Dio lo vuole», intende dialogare con i giovani nel loro linguaggio. E che linguaggio. La recente strategia giovanilista della Chiesa è solo l’ultimo capitolo di quello che un grande missionario gesuita del seicento definiva «…un santo inganno»… (da Il Mattino, 30 marzo 2001)
In situazioni come queste ci si trova di fronte a tanti interrogativi e perplessità per l’esigenza di autenticità delle fede. Sembrano talvolta iniziative che impediscono una vera crescita maturante nella fede e nella vita cristiana; essi possono fornire magari soddisfazioni e rispondere all’ansia di sicurezza dei giovani, ma a prezzo di infantilizzare l’esperienza religiosa e ostacolare il cammino di maturazione.

Cuore giovane e maturo

senza sconti sulla verità

Le nuove generazioni ci chiedono, e ne hanno il diritto, di poter ascoltare la Buona novella, di poter incontrare Gesù, di avere vita piena. Ce lo fanno capire con i loro modi scanzonati, le domande mute che vengono dalla loro solitudine, quella sorta di indifferenza che è piuttosto diffidenza verso una società e un mondo adulto che non si fa responsabile del loro futuro. Le nostre comunità hanno bisogno di un soprassalto di entusiasmo e di un impegno progettuale per la trasmissione di una fede viva, di una vita comunitaria radicata nel Vangelo, di un cuore aperto e di conseguenti tessuti di relazione e strutture che la rendano sperimentabile da tutti i giovani.

Appare in ogni caso decisiva la figura dei presbiteri, insostituibili compagni di viaggio dei giovani. A loro è chiesto di rifuggire da ogni giovanilismo: stare con i giovani non è questione di età e tanto meno di atteggiamenti compiacenti! Si aprano invece ad una vera paternità spirituale, nutrita da un cuore al tempo stesso “giovane” e “maturo”, attento, capace di relazionalità, premuroso, rispettoso della gradualità, ma anche esigente, che non fa sconti sulla verità. (Cfr. CEI, educare i giovani alla fede, orientamenti emersi dai lavori della XLV Assemblea generale, 27 febbraio 1999)

La nostra vita è

risposta ad una vocazione

Nelle nostre comunità cristiane tutti devono trovare accoglienza e nessuno deve sentirsi escluso. In ambiti di pastorale parrocchiale, nei movimenti e associazioni sarà opportuno quanto prima riformulare e riorganizzare il settore della pastorale giovanile, sulla base che il mondo dei giovani cambia e che alcune scelte del passato non assicurano più un processo concreto di trasmissione della fede.

Tutti siamo testimoni di come i giovani che pur mostrano, in talune circostanze interesse ed entusiasmo, col tempo si allontanano dalla vita di comunità cristiana e subentra in essi una certa indifferenza verso le tematiche di fede. In molti casi non si arriva a produrre una scelta di fede personale, un incontro profondo del giovane con Gesù, che possa aiutarlo a vivere la fede mantenendo nella società uno stile di vita di servizio, di testimonianza e molte volte di contro-cultura.

L’incontro con Gesù Cristo dovrebbe aiutare il giovane a superare il rischio di ridurre la fede a una esperienza provvisoria e puramente emotiva e soprattutto il rischio di identificarla in aride formule dottrinali e in precetti morali; ma leggere la vita come risposta ad una personale vocazione, un progetto di santità, aiutandoli a vedere che il loro cammino di fede va concretizzato in scelte di vita, in un particolare servizio inteso come missione, senza timore di fare loro proposte esigenti.

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