Il Concilio Ecumenico Vaticano II. La Chiesa di ieri per la società di oggi

accettare il nuovo

non è un rifiuto del passato

 

Sembra ieri. Ma sono ormai passati cinquant’anni. Per qualsiasi altro evento nella storia sarebbe già tempo per soprassedere.  Ma non è così per la Chiesa e non è così per un evento conciliare. E’ tempo e non mancano i motivi per una rinnovata riflessione sulla importanza del Concilio Ecumenico vaticano II nella storia della Chiesa moderna, perché dal Concilio è nata una chiesa più moderna per una società moderna, sulle motivazioni che ne chiesero la celebrazione, e soprattutto sulla ricezione e applicazione dei orientamenti conciliari, che porta il nostro discorso a riflettere e a interrogarci seriamente oggi sulla nostra adesione interiore e intellettuale a quelli che sono i messaggi e gli insegnamenti della Chiesa. Accettare il nuovo e il moderno non sempre implica il rifiuto del passato e della tradizione. È necessario che, crescendo in età e con il progredire del tempo, progrediscano anche la scienza e la sapienza, negli individui e nella stessa società, che vuol dire anche la Chiesa.

 

la volontà e il desiderio

di incontrare il mondo

 

In una sua lettera il cardinal Carlo Maria Martini, proprio in riferimento al Vaticano II,  ricorda “che per molti c’era un motivo di gioia ancora più grande. I documenti approvati dai Padri conciliari dimostravano nel loro insieme la volontà della Chiesa di entrare in contatto con tutti gli uomini di buona volontà e di porsi in atteggiamento di rispettoso ascolto delle voci e dei desideri di tutti. Naturalmente non è in questo entusiasmo che troviamo lo spirito del Concilio. Anche perché in quel periodo, in un’atmosfera di entusiasmo e anche con una certa ingenuità, circolavano tanti progetti per il futuro della Chiesa. I sostenitori di un’interpretazione rigida, che guardano con sospetto ad ogni novità, non tengono ben presente che vi possono essere novità nella Chiesa. Essa è un organismo vivente, che nasce piccolo ma nel tempo si sviluppa come un corpo umano che cresce così da apparire come qualcosa di nuovo. Tale visione della storia della Chiesa fu sostenuta fin dal secolo V da San Vincenzo di Lerino. Egli afferma che nella Chiesa vi saranno certamente nel corso degli anni progressi anche molto vistosi. Non ci si deve spaventare di essi. Solo quando un organismo si trasforma in un altro bisognerà parlare di cambiamenti e respingerli con forza.”Lettera del Cardinal Carlo Maria Martini, 31 ottobre 2010).

 

il dialogo prima di tutto

e anche l’aggiornamento

 

Giovanni XXIII volle un concilio pastorale e di aggiornamento. Questo suo pensiero fu da alcuni interpretato in senso riduttivo e distorto. Nella sua prima enciclica Ad Petri Cathedram, 29 giugno 1959, egli precisò che il concilio principalmente intendeva promuovere l’incremento della fede, il rinnovamento dei costumi e l’aggiornamento della disciplina ecclesiastica. Esso avrebbe costituito uno spettacolo di verità, unità e carità, e sarebbe stato per i fratelli separati un invito all’unità voluta da Cristo.

 

Ma a rileggere oggi il discorso di Giovanni XXIII, al momento della inaugurazione, risulta chiaro che il Concilio era stato voluto principalmente per superare una situazione di conflitto della Chiesa con la cultura e la società moderna, sulla stessa dottrina della Chiesa, sulla concezione delle sue relazioni con il mondo, sul ruolo del laicato cattolico e sul rapporto con i non credenti, con i fratelli separati, per aprire strade di dialogo, in modo tale che il messaggio cristiano potesse trovare ancora oggi accoglienza e ascolto.

Il documento conciliare Gaudium et spes ricolloca la Chiesa serenamente all’interno del vivere sociale definito dalla cultura della modernità, con libertà di pensiero e di religione. Ai fedeli e al mondo intero fu consegnata l’immagine di una Chiesa diversa e rinnovata, consapevole dei suoi limiti e di alcuni errori, ma desiderosa di incontrare di nuovo, seguendo l’insegnamento del Vangelo, gli uomini del nostro tempo ed essere nuovamente al servizio della cultura e della società. Una Chiesa aggiornata, ove aggiornamento è inteso non come rottura con il passato o contrapposizione di momenti storici, ma come crescita, perfezionamento del bene sempre in atto nella Chiesa.

 

Si proponeva innanzi tutto una completa revisione dell’aspetto chiaramente gerarchico e del ruolo temporale di cui la Chiesa si era rivestita ormai da molti secoli; da qui, una riflessione sul comportamento più opportuno da adottare per far fronte a una crisi religiosa sempre più sentita di fronte alla quale la Chiesa non poteva più permettersi di rimanere indifferente.  Non si trattava dunque di cambiare il contenuto evangelico da trasmettere, bensì di rinnovare la modalità attraverso cui poter trasmettere il messaggio cristiano a un mondo in continuo cambiamento sociale, ideologico, politico e culturale.

 

Ci si aspettava un nuovo entusiasmo,

e si è invece finiti nella noia e nello scoraggiamento

 

Negli anni immediatamente successivi al Concilio, papa Paolo VI e i suoi successori dovettero fare i conti con una profonda emorragia di sacerdoti e religiosi che interpretarono l’attenzione al mondo in maniera diversa dall’effettiva dottrina cattolica.

 

Prese forza il movimento dei “preti operai“, già attivo dal secondo dopoguerra in Francia, ma che dopo il Concilio trovò nuovo vigore grazie anche all’approvazione da parte dello stesso Paolo VI di tale pratica, precedentemente ritenuta quasi illegittima dai precedenti Pontefici.

Nacquero le “Comunità cristiane di base” le quali, soprattutto in America latina, testimoniando la vitalità delle Chiese locali, assunsero una dimensione assai rilevante nella gestione e conduzione pastorale. Sempre in America Latina, diversi teologi, seguaci della teologia della liberazione, abbracciarono di fatto e diedero appoggio alla lotta marxista.

 

Da parte opposta, Monsignor Lefebvre rifiutò invece la riforma della liturgia ed altri pronunciamenti di apertura del Concilio, tra cui quelli sull’ecumenismo, ponendosi di fatto in una situazione di rottura con la Chiesa di Roma.

 

Una ventina di anni dopo la chiusura dei lavori conciliari, nel suo Rapporto sulla fede, il Cardinale Joseph Ratzinger, che sarà papa Benedetto XVI, riteneva un fatto incontestabile che gli ultimi vent’anni dopo il Concilio fossero stati decisamente sfavorevoli per la Chiesa cattolica.

“I risultati che hanno seguito il Concilio sembrano crudelmente opposti alle attese di tutti, a cominciare da quelle di Giovanni XXIII e di Paolo VI.  Ci si aspettava un nuovo entusiasmo, e si è invece finiti troppo spesso nella noia e nello scoraggiamento. Ci si aspettava un balzo in avanti, e ci si è invece trovati di fronte a un processo progressivo di decadenza che si è venuto sviluppando in larga misura sotto il segno di un richiamo a un presunto spirito del Concilio e in tal modo lo ha screditato. La Chiesa del dopo Concilio è un grande cantiere; ma è un cantiere dove è andato perduto il progetto e ciascuno continua a fabbricare secondo il suo gusto”.

cosa rimane del Concilio:

la chiesa è assemblea di fedeli

 

In un descrizione di padre Bartolomeo Sorge delle acquisizione teologiche del Concilio, egli sottolinea la ecclesiologia di comunione, con un passaggio dalla concezione prevalente di Chiesa come «società perfetta» a quella di «popolo di Dio». La teologia delle realtà terrestri che invita i cattolici a guardare il mondo con uno sguardo di maggiore fiducia e indipendenza, nell’ottica di una laicità da intendere positivamente. La teologia biblica, ovvero la considerazione e l’invito a considerare la Bibbia come libro aperto a tutti.

 

Ma quello che forse rimane una delle principali conseguenze del Concilio è sicuramente il rinnovamento liturgico e il nuovo rito della messa. Le riforme apportate nella liturgia sono una delle eredità del Concilio più evidenti soprattutto per i fedeli. Il rinnovamento comportò di fatto l’abbandono della lingua latina e l’eliminazione di alcune parti del vecchio rito.

 

Tra le innovazioni risalta anche lo staccamento degli altari dalle pareti, usati per la messa tridentina, e collocati al centro del presbiterio, portando nella prassi a uno spostamento del sacerdote, voltato non più verso il tabernacolo e al crocifisso, con le spalle ai fedeli, ma verso il popolo. Questo dava risalto al significato rinnovato che venne attribuito alla celebrazione liturgica, in cui viene messo in evidenza il ruolo del sacerdozio battesimale, che comporta una partecipazione attiva del popolo di Dio alla liturgia stessa. L’assemblea dei credenti riuniti a pregare si configura quindi come co-protagonista assieme al sacerdote che presiede nella celebrazione dell’eucaristia.

 

cosa è rimasto incompiuto

e cosa c’è ancora da affrontare

 

Mi limito a dire e a sottolineare il giudizio ancora negativo all’interno della gerarchia ecclesiastica sulla modernità; il declino della tanto voluta e attesa visione dell’ecumenismo; una involuzione di fatto della Chiesa come comunione a favore della Chiesa come istituzione gerarchica; intendo con questo una emarginazione sentita dei laici dalla partecipazione e coinvolgimento nelle decisioni che riguardano tutto il popolo di Dio, che vengono ancora riservate esclusivamente alla gerarchia ecclesiastica, quasi che la Chiesa sia fondata e composta da due classi differenti, la gerarchia e il laicato, a favore della restaurazione  di un’antica concezione di Chiesa in cui i problemi vengono risolti non attraverso una discussione aperta, ma soltanto tramite indicazioni dall’alto.

 

Il Vaticano II parla di pari dignità di tutti i membri della Chiesa, che non è ancora realizzata. “ … comune la grazia dei figli, comune la occasione alla perfezione. Una sola salvezza, una sola speranza e indivisa carità. Vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune di tutti i fedeli nell’edificare il corpo di Cristo”.

 

Ora io credo che questo non è realizzato. Queste parole erano dette con un’intenzione molto chiara perché era una Chiesa a dominante clericale. Non è stata sostenuta nel tempo un’adeguata promozione del ruolo dei laici e in particolare delle donne. E quindi la situazione resta fortemente sbilanciata.

Ci sarebbe anche da sottolineare la poca importanza data negli anni dopo il Concilio alla collegialità episcopale sul territorio, a favore invece di una sottolineatura del primato del Papa, con una competenza assoluta del Pontefice e del Vaticano sulla autorità unica del vescovi. La Chiesa non è composta solo dal papa, dalla Curia romana e dai vescovi. Oggi si parla sempre meno di un’autonomia delle Chiese locali, delle Conferenze episcopali. I vescovi ricevono spesso semplicemente gli ordini del Papa e della Curia romana.

 

basterà un nuovo Concilio

per una chiesa stanca e invecchiata?

 

Potrebbe essere un aiuto. Una simile riunione permetterebbe di sistemare delle questioni alle quali il Vaticano II non ha potuto dare esaurienti risposte, come il celibato dei preti, il ruolo della donna nella chiesa, il sacerdozio alle donne, un nuovo modo di elezione dei vescovi, le nuove accezioni culturali e sociali circa la famiglia e il suo ruolo nella società,  le nuove situazioni nelle quali vengono a trovarsi le nuove coppie, con la convivenza, il divorzio, il controllo delle nascite, la nuova cultura e le tante domande sulla sessualità e su tutti i temi che coinvolgono il corpo.

“La Chiesa è stanca.  – Così si esprimeva il cardinale Carlo Maria martini, in una sua intervista rilasciata a Georg Sporschill SJ, Federica Radice Fossati Confalonieri. – La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l’apparato burocratico della Chiesa lievita, i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi. Queste cose però esprimono quello che noi siamo oggi? Il benessere pesa. Noi ci troviamo lì come il giovane ricco che triste se ne andò via quando Gesù lo chiamò per farlo diventare suo discepolo.”

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